Il vuoto è un momento poetico, un limbo reale e concreto che si può misurare nella maschera. Nella sua esperienza in quanto “oggetto“ rituale, antico, e nella sua realtà presente e concreta. La distanza minima del volto dal pubblico rende quello spazio metamorfosi tra visibile e invisibile, tra soggetto e oggetto. Il vuoto è la persona che annuncia e prepara la via alla maschera, è e qui uso le stesse parole che utilizza Jodorowsky in “ I vangeli per guarire”… la maschera che si trova nel lato più recondito del nostro stesso io, è il nostro stesso io utilizzato come si deve. L'io diventa maschera solo a partire dal momento in cui smette di lavorare per se stesso e inizia a farlo per l'altro.(…) L'io lavora solo per sé e chiede senza sosta. La sua richiesta è come un pozzo senza fondo. Solo quando l'io, invece di chiedere impara a comunicare, diviene maschera.(1996, pag.46-49) In questo passo ho sostituito la parola Giovanni con maschera. Questo parallelismo lo posso adottare poiché Giovanni è inteso come colui il quale donandosi con purezza di spirito e relegando il suo egoismo tipicamente umano è riuscito a diventare Padre, ossia a fissare una via perché si verifichi l'avvento della coscienza collettiva . Quindi riesce ad unificare la sua parte soggettiva con quella parte oggettiva e perciò fruibile ad un collettivo. In un continuo altalenarsi tra i sostenitori di chi vede l'immagine come raffigurazione e l'immagine come simbolo, la maschera prende la posizione intermedia di mediatrice materiale come conseguenza di specifiche esperienze da differenti provenienza. Sono quindi questi due momenti, il pieno e il vuoto a rendere reale l'esperienza maschera dalle mani del costruttore alle mani del fruitore, in un continuo rimando tra teoria e prassi, teoria dell'arte e prassi del costruire. |