presentazione

12. Il concetto di orfano

La maschera è composta di un vuoto e di un pieno, il pieno è la sua rappresentazione, che, per esprimersi, si appoggia su un supporto si cuoio, legno o cartapesta, il vuoto è il suo retro. Il suo retro è chiaramente strutturato per ospitare un volto umano. Una delle differenze con le maschere rituali è proprio questa, esse infatti verranno abitate non da uomini ma da spiriti, a cui la maschera si adatta proprio per essere “comoda” a queste entità. “E dato che ad ogni tipo di maschera si ricollegano miti che tendono a spiegare l'origine leggendaria o soprannaturale, e a dare una fondamento alla funzione della maschera nel rituale, nell'economia, nella società, un'ipotesi che consista nell'estendere ad opera d'arte (che però non sono solo opere d'arte) un metodo che si è dimostrato valido nello studio dei miti, si troverà verificata se, in ultima analisi, fra i miti fondatore di ogni tipo di maschera potremo mettere in luce rapporti di trasformazione omologhi, a quelli che sul puro piano delle plastica prevalgono fra le maschere propriamente dette,” (Lèvi-Strauss 1979). Quando la maschera entra nella rappresentazione teatrale, essa acquista e risponde ai bisogni di questa sua nuova funzione. Si mantengono comunque le rappresentazioni di demoni e di spiriti dei morti, ma perdono quelle caratteristiche mitiche e queste vengono ad essere interpretate, nel loro essere riconosciute secondo altri canoni, quali caratteri appartenenti alla società del tempo. Le maschere sono prima di tutto persone vive, o meglio personaggi vivi, e le loro maschere sono maschere pensanti. Il pubblico si riconosce nelle caratteristiche mostruose, non delle maschere, ma dei suoi atteggiamenti di fronte alla varie vicissitudini del quotidiano. Il personaggio, attore, diviene, o continua ad essere, fonte di riconoscimento e di autoespiazione dei mali sociali. Continua , se pur in altro ambito, a svolgere la funzione di purificazione che aveva nella sua funzione iniziale, quale quella del rito. Si ha un altro rito, ora, il teatro. In questo la maschera è il carattere di un personaggio. Questo carattere finché rimane tale è orfano. Necessita di una persona generosa che si adatti a lui che la faccia vivere che, cioè, la renda personaggio rappresentativo. La maschera , finché rimane vuota è orfana, ha bisogno di un corpo. E' un bisogno che si attua nel teatro. Esso infatti esiste come bisogno, l'attore ha bisogno di un pubblico, il pubblico ha bisogno di una rappresentazione, la rappresentazione ha bisogno di personaggi, e il ciclo non si chiude se non con la chiusura del sipario e dei lustrini. Ogni maschera , nelle caratteristiche che le sono proprie , trovato il suo corpo, lo trasforma e lo trasporta in una nuova entità diversa sia dalle caratteristiche fisiognomiche proprie, sia dalla personalità dell'attore interpretante. Nasce in questa unione corpo-maschera la vera rappresentazione di un sé. Il corpo d'altro canto può essere non tutto il corpo dell'attore ma, come nel caso dei burattini, una sola parte di esso. Il fine è l'intero che si crea tra la maschera ed ffil corpo che esso sia pure un braccio o una mano, non influenza l'immagine. La necessita è che l'orfano trovi la sua forza e la sua energia rappresentativa.

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Abbiamo qui, concluso la parte del manuale minimo rivolta , verso la lavorazione pratica della maschera. Ho più volte voluto sottolineare come la pratica , sia strettamente legata ad una teoria, sia artistica che filosofica e di come trattare di maschera confonda questi due aspetti. Il ricordo, o la memoria di questa è antico, moderno e contemporaneo, affronta e rispecchia pulsioni ed emozione dell'uomo . Tutto questo c'è nella maschera, e il mascheraro, nel suo contatto diretto e costante con tale “ oggetto” per dirla alla Dario Fo (2005 Inaugurazione Museo della Maschera a cura di Sartori, Abano Terme ) rimane affascinato da sguardi, rinascite re-invenzione antiche, appartenenti a mondi con una cultura ormai altra, ma sempre rinnovata sino al suo essere presente in quel evento misterioso a cui si dà vita. “Un giorno consultando un libro sul futurismo italiano con lui e altri amici (Luis Breton, Enrique Lihn) ci siamo imbattuti in una frase illuminante di Marinetti: la poesia è azione. A partire da quel momento abbiamo prestato molta più attenzione all'atto poetico, (…) [ questo è ] come un terremoto. Denuncia le apparenze, smaschera le falsità, mette in discussione qualsiasi convenzionalismo”. (Jodorowsky 1995)

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